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La Danza delle Transizioni: Sicurezza Emotiva all’Inizio di un Nuovo Anno Scolastico

set 5

9 minuti di lettura

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transizioni scolastiche
“Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è.” — Buddha



👨‍👩‍👧 Caro Genitore,


Scrivo questo articolo a inizio settembre, con il grande rientro alle porte.

Forse anche tu, in queste settimane, ti ritrovi tra liste infinite di materiale da comprare, zaini o borse da preparare, orari da riorganizzare e la sensazione che manchi sempre qualcosa.

E, sotto a tutto questo, le emozioni: entusiasmo, ansia, stanchezza, paure a cui spesso non sappiamo dare un nome o una vera collocazione.


Ogni anno, per genitori e bambinə, prende vita una nuova coreografia: che sia il primo giorno al nido, l’ingresso alla scuola dell’infanzia, il passaggio alla primaria, un cambio di maestre o una nuova scuola, ogni famiglia si trova a danzare una transizione.


Iniziare una nuova avventura scolastica non è mai una marcia in linea retta.


È una danza.


Una danza fatta di passi leggeri, in cui tutto sembra scorrere senza intoppi, e di passi incerti, in cui capita di pestarsi i piedi. Ci sono giorni in cui genitore e figliə ballano all’unisono, e altri in cui i tempi si sfasano, i movimenti non coincidono e serve fermarsi un attimo per ritrovare il ritmo.


Mi piace pensare che ogni settembre porti con sé questo nuovo ballo, perché rende evidente che i cambiamenti, gli inizi e le transizioni non sono ostacoli da superare o prove da affrontare “senza sbagliare”. Sono movimenti da attraversare insieme, accogliendo i tempi propri e quelli dell’altrə, ascoltando quando è il momento di guidare e quando, invece, è il momento di lasciarsi guidare, con fiducia.


E allora, cosa significa questa danza nella vita quotidiana?

Perché non è solo questione di quaderni e orari: a volte ci sono lacrime al mattino, separazioni difficili, stanchezza o rabbia al rientro, richieste di attenzioni che sembrano improvvisamente tornare indietro. È lì che la danza si fa più complessa.


In questo articolo ti racconterò cosa succede ai bambinə durante le transizioni, quali segnali osservare e quali piccoli gesti possono diventare un’ancora di sicurezza.

Vedremo insieme come accompagnarli in questo ballo senza perdere il ritmo: con frasi semplici, azioni pratiche e con un ingrediente che può fare davvero la differenza… la lentezza.




La "Danza" come metafora delle transizioni


Le transizioni portano con sé emozioni intense, sia per bambinə che per genitori.

Non riguardano solo l’inizio della scuola: ogni passaggio – dal togliere il pannolino al dormire nel proprio letto, dal passaggio all’asilo al trasloco in una nuova casa, dall’arrivo di un fratellino al rientro al lavoro di un genitore – mette in moto un insieme complesso di emozioni.


C’è l’entusiasmo per ciò che inizia e la nostalgia per ciò che si lascia. C’è la paura dell’ignoto e, spesso, la fatica di adattarsi a nuovi ritmi.

Le transizioni sono momenti in cui le certezze vacillano e, proprio per questo, diventano occasioni preziose per crescere, imparare e rafforzare la connessione.


Potremmo notare diversi segnali, che raccontano come i bambinə – e spesso anche noi adulti – stiamo vivendo e cercando di integrare il cambiamento.


  • Pianti al distacco: anche se molto faticosi non vanno considerati come un segno di debolezza, ma il bisogno profondo di rassicurazione e di tempo per sentire che la separazione è sicura.


  • Regressioni temporanee: piccole richieste come dormire insieme, il desiderare di fare giochi “da più piccoli” o difficoltà in autonomie che erano già acquisite. Questo è il loro modo per dirci: “ho bisogno di conferme, fammi sentire che ci sei”.


  • Cambi di umore: irritabilità, stanchezza o esplosioni emotive, soprattutto a fine giornata. Queste espressioni sono tipiche di quando le energie di adattamento si sono ormai esaurite e gli argini di contenimento sono ormai ceduti. In questo punto i bambinə hanno bisogno di accoglienza e conforto.


  • Domande e resistenze: “Perché devo andare?”, “Non voglio”, “E se non torni?” “E se non mi piace?”. Frasi e domande come queste appaiono come opposizioni, ma nascondono la necessità di dare un senso a quello che accade.


  • Segnali corporei: mal di pancia, mal di testa, agitazione, difficoltà a dormire. Il corpo parla quando le parole non bastano ancora, soprattutto nei bambinə più piccoli che non hanno ancora tutti gli strumenti linguistici per raccontare ciò che provano.


Tutto questo non è un problema da eliminare: è parte della danza.

Sono modi con cui i bambinə cercano di adattarsi a un cambiamento che richiede energie nuove.

Non sono un “qualcosa che non va”, ma tentativi sani e fisiologici di trovare un nuovo equilibrio.


Il punto è che spesso non siamo preparatə a viverli così.

Il nostro poco spazio, i ritmi veloci, le giornate piene e la nostra stessa capacità emotiva ridotta ci rendono difficile accogliere queste espressioni.

Così, invece di riuscire a stare accanto a nostrə figliə nel disagio, sentiamo il bisogno di zittire il pianto, accelerare la separazione, convincerli a forza o minimizzare quello che provano. Non perché non li amiamo, ma perché non sempre abbiamo le risorse per restare in ascolto senza scappare.


Eppure, proprio lì, nel momento di fatica, c’è l’occasione più preziosa: attraversare le emozioni senza paura, senza reprimerle o nasconderle, e che anche quando il mondo cambia, c’è qualcuno che resta, saldo, al loro fianco.



Frasi e azioni pratiche per accompagnare la transizione


Ecco alcuni strumenti semplici, da usare nei momenti chiave:


Al mattino: seminare sicurezza prima del distacco

Il modo in cui inizia la giornata dà il tono a tutto ciò che verrà dopo. Un saluto frettoloso o ansioso può rendere il distacco più difficile, mentre un rituale ripetuto rafforza la prevedibilità.


  • Dare parole alla difficoltà: Usa frasi che accolgano e rassicurino: “Lo so che è difficile salutarsi, ed è normale sentirsi tristi. Io torno sempre a prenderti.” oppure “È normale sentire un po’ di dispiacere quando ci salutiamo. Il nostro legame rimane, anche quando siamo in posti diversi.”

  • Creare un piccolo rituale: può essere un saluto speciale (batti cinque → abbraccio → bacino), un abbraccio a tre tempi, o una frase ricorrente (“Non vedo l'ora di stare con te quando vengo a prenderti”).

  • Mostrare coerenza: scegliere un gesto o una frase e mantenerli costanti nel tempo, senza cambiare strategia ogni giorno. I bambinə trovano sicurezza nella ripetizione, perché la prevedibilità trasmette stabilità. Se ieri abbiamo salutato in un certo modo e siamo tornati, ripeterlo oggi richiama immediatamente la certezza del nostro ritorno.

  • Prendersi un minuto in più: meglio arrivare leggermente prima e salutare con calma, piuttosto che correre all’ultimo minuto con addosso ansia e fretta.



Durante il distacco: il corpo come messaggio principale

Il momento del saluto è tra i più delicati: lì si gioca gran parte della fiducia che il bambinə costruirà sia nel genitore sia nell’ambiente che lo accoglie.


  • Evitare promesse false. Frasi come “torno subito” o “vado via solo un attimo” sembrano rassicuranti nell’immediato, ma creano confusione perché non corrispondono alla realtà. Quando i bambinə si accorgono che il “subito” non arriva, la delusione rischia di incrinare la fiducia. Meglio poche parole veritiere, che diventino affidabili e collocate dopo un determinato momento chiaro nel tempo: “Ci vediamo dopo che hai pranzato”, “Ti ritrovo qui dopo la merenda”, “Ci vediamo dopo il riposino”.

  • Niente fughe improvvise. Andare via di nascosto, approfittando di un momento di distrazione, può sembrare una scorciatoia per evitare le lacrime. In realtà ciò che rimarrà sarà solo insicurezza: il bambinə impara che la mamma o il papà possono sparire all’improvviso, senza preavviso. Questo alimenta ansia da separazione e insicurezza. Il saluto, anche se faticoso, è una conferma: io ti vedo, tu mi vedi, e ci salutiamo davvero.

  • Comunicare con il corpo. I bambini percepiscono in modo immediato ciò che trasmettiamo con lo sguardo, la postura, il respiro. Uno sguardo sicuro, un sorriso autentico, un tono di voce calmo valgono più di mille discorsi. Se il genitore è agitato, il bambino lo percepirà a prescindere dalle parole. Prima di salutare, può aiutare fare un respiro profondo, guardare negli occhi tuə figliə e lasciare che sia il corpo a dire: va tutto bene.

  • Poche parole, ma chiare. L’ansia del distacco può spingere a spiegare troppo: “Vedrai che starai bene, ci sono tanti giochi, l’educatrice è gentile, io torno presto, poi facciamo merenda insieme…”. In realtà la verbosità aumenta la tensione e confonde. Meglio frasi brevi e stabili: “Io ora vado, mentre tu resti qui all'asilo/scuola. Ci ritroviamo dopo pranzo. Non vedo l'ora!” La chiarezza, unita alla ripetizione quotidiana, crea un filo di sicurezza che il bambinə impara a riconoscere.


Al rientro: il valore del ritrovarsi

Il momento del ritrovarsi non è mai “solo un dopo la scuola”: è un rituale di sicurezza emotiva. È qui che prende corpo la certezza che “la mamma/papà va, ma poi torna sempre”.


  • Dare spazio al racconto o al non racconto. Alcuni bambinə hanno bisogno di riversare ogni dettaglio, altri di custodirlo dentro e scaricare la tensione con un gioco o con il silenzio. Entrambe le reazioni sono normali. Offrire spazio significa permettere a ciascun bambinə di scegliere il proprio modo di condividere.

  • Non forzare. Spinte come “Allora? Cosa hai fatto oggi? Con chi hai giocato?” rischiano di mettere pressione. Spesso i bambini non hanno ancora la capacità di verbalizzare in modo lineare o hanno bisogno di tempo per “elaborare” prima di parlare. Meglio lasciare semplicemente che sia il bambino a prendere l’iniziativa.

    Un’alternativa al fare domande è condividere la propria giornata, usando parole semplici e seguendo un filo cronologico che il bambinə possa comprendere: dal mattino al pranzo, dal pomeriggio alla pausa, fino al momento dell’uscita.

  • Valorizzare l’incontro. Le prime parole contano: “Che bello riaverti qui con me”, “Mi sei mancatə oggi”, “Sono felice di rivederti”. Sono frasi semplici ma potenti, che rafforzano il senso di appartenenza e sottolineano il valore del legame, indipendentemente da come sia andata la giornata.

  • Creare micro-rituali di rientro. Non serve organizzare grandi momenti: la forza sta nella costanza. Uno snack preparato insieme, un abbraccio sul divano, una canzone da cantare in macchina tornando a casa, una breve passeggiata mano nella mano. Sono piccole costanti che segnano il passaggio da “fuori casa” a “di nuovo insieme”.

  • Accogliere le emozioni di ritorno. Non è raro che il bambinə, al ricongiungimento, esploda in pianti o comportamenti oppositivi. Non significa che non sia stato bene, ma che finalmente, nel ritrovare la base sicura, può lasciarsi andare e scaricare la tensione accumulata. In questi casi, il compito del genitore non è “indagare” o correggere, ma contenere con calma e presenza.

  • Chiudere il cerchio ogni giorno. Un distacco sereno inizia a costruirsi già dal rientro precedente. Se il bambino sperimenta che, dopo l’assenza, c’è sempre un momento di ritrovo caldo e prevedibile, il giorno dopo affronterà la separazione con meno ansia.


Nei giorni di fatica: normalizzare e contenere

Non tutti i giorni sono uguali. Ci saranno mattine di resistenza, pianti improvvisi, rifiuti a vestirsi o ad andare a scuola. Momenti in cui sembra di essere tornati indietro dopo tanti passi avanti. È proprio in queste situazioni che il ruolo del genitore può fare la differenza: non per eliminare la difficoltà, ma per accompagnarla con presenza e coerenza.


  • Accogliere senza giudizio. Frasi come: “Capisco che oggi non hai voglia, è normale” aiutano il bambino a sentirsi visto senza essere giudicato. Accogliere non significa assecondare tutto o rinunciare ai limiti, ma dare dignità all’emozione. È diverso dire: “Non vuoi andare, lo capisco, ti accompagno comunque” invece di “Non fare i capricci”.

  • Evitare etichette. Spesso, nella stanchezza, escono frasi come “Sei sempre lamentosə” o “Non fai mai quello che ti chiedo”. Ma queste parole rischiano di appiccicare un’identità negativa al bambinə, che può interiorizzarla. Meglio descrivere la situazione: “Oggi ti vedo stanco” , "Stamattina vedo che è più difficile prepararci per uscire".

  • Normalizzare la regressione. Nei giorni di fatica è possibile che il bambino chieda cose che sembravano “superate”: voler essere imboccato, avere bisogno di un abbraccio più lungo, voler dormire con un genitore. Non sono passi indietro, ma richieste temporanee di sicurezza: segnali che dicono “ho bisogno di sentirti vicino”.

  • Rinforzare la resilienza. Frasi come: “Oggi è stato difficile, ma ce l’hai fatta. Domani vedremo insieme come andrà” insegnano che la difficoltà non è un fallimento, ma parte del processo. La resilienza non nasce dal “non piangere” o dal “fatti coraggio”, ma dal sentirsi sostenutə anche quando si è in difficoltà. Il messaggio implicito è: “Puoi essere fragile e forte allo stesso tempo, e io sono qui con te.”




Il valore della lentezza


In un mondo che corre, dove tutto sembra richiedere efficienza e rapidità, la vera risorsa per attraversare le transizioni è la lentezza. Non parliamo di rallentare per “perdere tempo”, ma di concedersi il tempo necessario affinché corpo e mente possano adattarsi ai cambiamenti. La lentezza diventa allora una cornice di sicurezza: un contenitore che permette alle emozioni di muoversi senza straripare.


Come possiamo portare lentezza nelle nostre giornate frenetiche?

  • Al mattino. Alzarsi anche solo dieci minuti prima può fare la differenza tra un distacco vissuto come corsa affannata e un inizio calmo. Il tempo in più permette di accogliere eventuali resistenze, fare un abbraccio lungo o raccontare una piccola storia senza la pressione dell’orologio.

  • Davanti alla scuola. Non serve restare mezz’ora, ma concedere un saluto senza fretta. Non è la durata che conta, ma la qualità del momento: pochi secondi pieni valgono più di minuti ansiosi.

  • Alla sera. Preparare insieme le cose per il giorno dopo (vestiti, zaino, oggetto speciale da portare) non è solo un modo per “organizzarsi meglio”, ma un rituale che trasmette prevedibilità. Il bambino sa già cosa accadrà il giorno dopo e questo riduce l’ansia mattutina.

  • Dopo la scuola. La tentazione di riempire subito il tempo con compiti o attività extra è forte, ma il bambino ha bisogno di decomprimere. Una pausa sul divano, un disegno, un gioco libero o semplicemente stare insieme senza fretta, permettono di scaricare la tensione accumulata prima di ripartire.

  • Nelle giornate difficili. Rallentare significa anche non pretendere che la transizione avvenga in un solo passo. Se il distacco è duro, può aiutare spezzare il momento in piccole fasi: prima salutare con calma, poi accompagnare fino alla porta, poi affidarsi a una figura di riferimento.



Prima di salutarci...


Siamo arrivati alla fine, Caro Genitore, e come avrai capito le transizioni scolastiche non sono mai solo dei bambinə.

Sono una danza che coinvolge tutta la famiglia. Non chiediamoci se i passi saranno perfetti, chiediamoci se riusciremo a danzarli insieme, ascoltando il ritmo, rispettando i tempi e accogliendo gli inciampi.



A presto.

Silvia.



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Commenti (1)

Vale
12 set

Ottimo articolo

Mi piace
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