
Il cervello del genitore: 5 bias cognitivi che influenzano l’educazione
mag 30
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“Il nostro cervello è una macchina che crea storie. Preferiamo una storia coerente alla verità.” - da Thinking, Fast and Slow
👨👩👧 Caro Genitore,
“Lo fa sempre apposta.”
“Con me non funziona mai.”
“È fatto così, non cambierà.”
“Sono io che sbaglio tutto.”
“È un angelo, ma solo con gli altri.”
se ti sei ritrovatə almeno una volta in uno di questi pensieri, sappi che sei in buona compagnia.
Non c’è nulla di sbagliato in te. Come tutti gli esseri umani hai un cervello che, per essere più efficiente, ogni tanto prende delle scorciatoie. Sono i cosiddetti bias cognitivi: piccoli errori di valutazione che ci fanno vedere la realtà in modo distorto, senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Nel ruolo di genitore, questi bias possono diventare insidiosi: influenzano come interpretiamo i comportamenti dei nostrə figli, come reagiamo, cosa ci aspettiamo da loro e da noi stessə.
Ma c’è una buona notizia: una volta riconosciuti, i bias possono diventare preziosi alleati nel nostro percorso di evoluzione.
MA COSA SONO DAVVERO I BIAS COGNITIVI?
I bias cognitivi sono delle “scorciatoie” mentali che il cervello utilizza per prendere decisioni rapide.
Non sono un errore nel nostro sistema, ma un meccanismo evolutivo. Se ogni volta dovessimo analizzare ogni situazione da zero, saremmo paralizzati dall’indecisione.
Il problema nasce quando queste scorciatoie mentali diventano automatismi invisibili. Quando cioè smettiamo di interrogarci e iniziamo a interpretare la realtà attraverso filtri precostituiti, senza nemmeno rendercene conto. A quel punto, il nostro cervello non sta più osservando ciò che accade, ma sta confermando ciò che si aspetta di vedere.
Nel contesto educativo, questo può avere conseguenze importanti: iniziamo a reagire più che a rispondere. Le nostre risposte diventano impulsive, emotive, condizionate da schemi rigidi che si attivano in automatico. Così, quando nostrə figli fanno qualcosa che ci destabilizza, invece di chiederci cosa ci stanno comunicando o cosa stanno vivendo, mettiamo subito un’etichetta, un’interpretazione, una spiegazione… spesso basata su vecchie convinzioni, su modelli ricevuti, su paure non elaborate.
Questi bias ci portano fuori dal momento presente. Ci fanno giudicare invece che comprendere, controllare invece che accompagnare, semplificare invece che restare nella complessità di una relazione che evolve.
E così rischiamo di perdere l’occasione più preziosa che abbiamo: quella di vedere davvero chi abbiamo davanti, momento dopo momento.
🔎 Come spiega Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, nel suo libro “Thinking, Fast and Slow”, il nostro cervello lavora con due sistemi: il sistema 1 (veloce, intuitivo, impulsivo) e il sistema 2 (lento, riflessivo, razionale). I bias nascono proprio dal sistema 1, che vuole risposte rapide... anche a costo di sbagliare.
I 5 BIAS PIU' COMUNI TRA I GENITORI
1️⃣ Bias di conferma
“Vedi? Lo sapevo che era testardə. Lo fa ogni volta.”
Tendiamo a cercare conferme a ciò che crediamo già. Se siamo convintə che nostro figlio sia disubbidiente, interpreteremo ogni comportamento in quella direzione, ignorando i momenti di collaborazione. È come indossare un paio di occhiali con lenti selettive.
💡 Cosa fare: Allenati a cogliere anche le eccezioni. Quando tuo figlio fa qualcosa di inaspettato (in positivo), annotalo mentalmente. Costruisci un’immagine più completa di chi è, e non solo di chi “credi” che sia.
2️⃣ Bias dell’etichettamento
“È il timido della famiglia.”
“Lei è quella brava.”
“Lui è il casinista.”
Le etichette, è vero, semplificano. Ma spesso congelano. Quando assegniamo un’etichetta, smettiamo di osservare davvero il comportamento: iniziamo a vedere solo ciò che conferma la nostra idea iniziale. Questo può bloccare il potenziale evolutivo dellə bambinə, che, sentendosi definito in un certo modo, finirà per crederci davvero e comportarsi di conseguenza.
📌 Riferimento: Uno studio di Rosenthal e Jacobson (1968) ha mostrato che le aspettative degli insegnanti influenzano direttamente il rendimento degli studenti: è l’effetto Pigmalione. Se pensiamo che un bambino sia “bravo”, tenderà a esserlo. Se pensiamo che sia “problematico”, probabilmente si comporterà così.
💡 Cosa fare: Prova a descrivere ciò che vedi, invece di definirlo. “Oggi ha fatto fatica a salutare” è diverso da “è sempre timido”. La descrizione oggettiva lascia spazio al cambiamento.
3️⃣ Bias dell’attribuzione
“L’ha fatto perché voleva mettermi in difficoltà.”
“Con me si comporta così apposta.”
Questo bias ci porta ad attribuire intenzioni precise (spesso negative) ai comportamenti degli altri. Soprattutto quando siamo stanchi o sotto stress, interpretiamo tutto come personale. Ma i bambini piccoli, come ben sai, non hanno ancora piena consapevolezza delle conseguenze sociali delle loro azioni.
💡 Cosa fare: Chiediti: “Potrebbe esserci un’altra spiegazione?” Magari tuo figlio ha bisogno di connessione, oppure è frustrato per qualcosa che non riesce a comunicare.
4️⃣ Effetto alone
“Se è così dolce con gli altri, perché con me è sempre nervosə?”
Un solo tratto (positivo o negativo) può condizionare la percezione complessiva. È il motivo per cui pensiamo che l’insegnante simpatico sia anche più competente, o che il bambino “bravo” debba essere impeccabile in ogni contesto.
📌 Riferimento: L'effetto alone è stato teorizzato dallo psicologo Edward Thorndike nel 1920. È alla base di molte nostre distorsioni sociali.
💡 Cosa fare: Ricordati che lə bambinə si comportano in modi diversi a seconda del contesto. Essere sfidanti con la mamma o il papà non significa essere “peggiori”, ma semplicemente sentirsi al sicuro per esprimere ciò che faticano a contenere altrove.
5️⃣ Bias di proiezione
“Io alla sua età ero più responsabile.”
“Non sopporto quando urla... mi manda fuori di testa.”
Quando proiettiamo sui figli parti di noi che non abbiamo elaborato, reagiamo in modo amplificato. Quella parte di noi che non si sentiva ascoltata, o che ha sempre cercato di essere “brava”, riemerge nel rapporto con il nostro bambino.
💡 Cosa fare: Ogni volta che una reazione è sproporzionata, fermati e chiediti: “Cosa mi sta toccando, davvero, in questa situazione?”
PERCHE' E' IMPORTANTE RICONOSCERLI?
🔍 Perché se non li vediamo, li subiamo.
I bias non sono semplicemente una questione “psicologica” o un tecnicismo da manuale. Sono meccanismi silenziosi ma potenti che modellano ogni giorno il modo in cui interpretiamo la realtà genitoriale: influenzano le scelte che facciamo, le reazioni che abbiamo, i giudizi che formuliamo — spesso in automatico — sul comportamento dei nostrə figli.
Agiscono nel sottofondo delle nostre giornate, e se restano invisibili, possono diventare delle vere gabbie cognitive: ci fanno sentire frustratə, inadeguatə, perennemente in difetto. Oppure ci portano ad aspettarci sempre le stesse cose da nostrə figli, a vederli sempre attraverso lo stesso filtro, impedendo loro (e a noi) di evolvere davvero.
Un bias non visto può portarci, ad esempio, a credere che un bambinə “non sia capace di autoregolarsi” e quindi a intervenire continuamente con controlli e correzioni, alimentando così un circolo vizioso di sfiducia. Oppure può farci sentire “genitori sbagliati” perché non riusciamo a controllare tutto, ignorando quante variabili non dipendono da noi.
In questo modo, i bias non solo condizionano la relazione con nostrə figli, ma anche il nostro dialogo interiore come genitori: possono aumentare il carico mentale, il senso di colpa, la fatica emotiva.
Portarli alla luce non serve per correggersi o “migliorarsi” a tutti i costi, ma per scegliere con più consapevolezza. E per ricordarci che possiamo riscrivere il copione — anche quello che sembrava già scritto.
🎓 LO SAPEVI CHE...?
Tre esperimenti psicologici ci mostrano come i nostri bias influenzano il modo in cui vediamo e cresciamo i nostri figli.
📌 1. Rosenthal & Jacobson (1968) – L’effetto Pigmalione
✨ Quando un adulto crede nel potenziale di un bambino… quel bambino inizia a crederci davvero.
In questo celebre esperimento, gli insegnanti di una scuola ricevettero una lista di alunni “con un alto potenziale intellettivo”, selezionati tramite un test. Ma c’era un dettaglio: quegli alunni erano stati scelti in realtà a caso. Dopo qualche mese, però, proprio quei bambini mostrarono reali miglioramenti nei risultati scolastici.
Perché? Perché gli insegnanti, credendo che quei bambini fossero “speciali”, cambiarono inconsapevolmente il loro modo di relazionarsi con loro: offrirono più stimoli, più attenzioni, più fiducia. E i bambini… si adeguarono all’aspettativa.
🎯 Cosa ci insegna questo, come genitori?
Che le aspettative che abbiamo su nostrə figliə – anche quando non le diciamo ad alta voce – si sentono, si trasmettono, e influenzano profondamente il modo in cui loro percepiscono se stessi. Se li pensiamo “difficili”, “pigri”, “testardi”... finiranno per vedersi così. Ma se iniziamo a raccontarci (e raccontargli) una nuova storia, più aperta, più fiduciosa, più curiosa… qualcosa cambia. In loro. E in noi.
📌 2. Dix & Grusec (1985) – Tutto dipende da come lo interpreti
✨ Non reagiamo a ciò che accade. Reagiamo a ciò che pensiamo stia accadendo.
I ricercatori hanno mostrato ai genitori dei video in cui dei bambini si comportavano in modo “sfidante” (pianti, opposizione, capricci). I genitori più stressati o con un’idea rigida di disciplina tendevano ad attribuire intenzioni negative e consapevoli ai bambini (“lo fa apposta”), mentre altri genitori interpretavano gli stessi comportamenti come segnale di disagio emotivo.
Qual era la differenza tra i due gruppi? Il primo gruppo tendeva ad avere un'idea più rigida dell’educazione, o si trovava in uno stato di stress emotivo. Il secondo gruppo riusciva a decentrarsi, a vedere il bambino oltre il comportamento.
🎯 Cosa ci insegna questo, come genitori?
Che non è tanto cosa fanno nostrə figliə a farci reagire… ma cosa pensiamo che stiano facendo. Se leggiamo un comportamento come un attacco personale, reagiremo con chiusura. Se invece lo vediamo come un messaggio, potremo rispondere con connessione. E per cambiare questa lettura, spesso basta una domanda: "Cosa potrebbe esserci dietro questo comportamento?"
📌 3. Leerkes & Crockenberg (2002) – Il nostro passato ci parla
✨ Quando reagiamo “troppo”, forse non stiamo rispondendo a ciò che fa nostrə figliə… ma a qualcosa che ci portiamo dentro da molto più tempo.
Le ricercatrici hanno analizzato la reazione emotiva di mamme a un video di neonati che piangevano. Le mamme che da bambine avevano vissuto un legame insicuro con i propri genitori provavano più fastidio o rabbia di fronte al pianto, e tendevano ad attribuirgli un intento manipolativo. Al contrario, le mamme con storie di attaccamento più sicure provavano più compassione.
🎯 Cosa ci insegna questo, come genitori?Che la nostra storia non è “passata”. Vive dentro di noi, nei momenti in cui siamo stanchə, vulnerabili, innescatə.Un pianto può riattivare memorie corporee ed emotive profonde: la bambina o il bambino che siamo statə e che non è stato consolato, ascoltato, validato.E proprio per questo, il lavoro su di sé non è mai egoista: è il regalo più grande che possiamo fare anche a nostrə figliə.
COSA POSSIAMO FARE NELLA PRATICA?
Riconoscere i bias non serve per giudicarci, ma per aprire una strada nuova: più consapevole, più leggera, più autentica. Non possiamo eliminare del tutto le scorciatoie mentali, ma possiamo imparare a non farci guidare solo da loro.
Ecco cinque pratiche concrete per iniziare ad agire con più presenza e meno automatismi:
✔ Scegli l’osservazione, non l’interpretazione.
“Ha urlato quando gli ho detto no” è diverso da “Non accetta mai un limite.”
Descrivere ciò che è accaduto, senza caricarlo subito di giudizio o significato, è un primo passo fondamentale per uscire dal pilota automatico.Ogni volta che diciamo: “È sempre così…”, stiamo probabilmente indossando un filtro. Ma se impariamo a descrivere i fatti per come si manifestano, torniamo al presente.
🧠 Domanda guida:
“Questa cosa che penso… è un fatto o è una mia interpretazione?”
Questa domanda, ripetuta con gentilezza, può cambiare radicalmente il nostro modo di vedere lə bambinə — e noi stessə.
✔ Fai spazio al dubbio.
“Cosa potrebbe esserci dietro questo comportamento?”
Molto spesso reagiamo come se conoscessimo già le motivazioni di un comportamento. Ma educare non è interpretare: è restare curiosi.Il pianto non è manipolazione. L’opposizione non è cattiveria. La rabbia non è maleducazione. Sono forme primitive di comunicazione che ci chiedono ascolto, non controllo.
💬 E se invece di pensare “Mi sta sfidando”, ci chiedessimo “Ha bisogno di aiuto per gestire questa emozione?”? Il dubbio, in educazione, non è debolezza. È intelligenza emotiva.
✔ Allenati alla curiosità educativa.
“Anche se l’ho già visto mille volte… cosa non ho ancora capito?”
La curiosità è il contrario del pregiudizio. È la disponibilità a restare in ascolto, anche quando pensiamo di sapere già tutto.Quando ci mettiamo in questa postura, ogni crisi può diventare un’occasione per conoscere meglio nostrə figliə — e anche noi stessə.
📌 Osserva. Chiedi. Ascolta. Non servono mille strumenti. Serve uno sguardo che si rinnova.
✔ Lavora sulle tue ferite.
“Quando reagisco in modo esagerato… forse non sto parlando solo a mio figlio. Sto rispondendo anche a qualcosa che è successo a me.”
I bias non sono sempre e solo cognitivi. Sono anche emotivi. Vengono da lontano: dalla nostra infanzia, da ciò che ci è mancato, da quello che ci hanno insegnato senza dircelo. E a volte, quando ci sentiamo “triggers”, è perché quella ferita è ancora viva.
Ma portare consapevolezza non significa scavare per colpevolizzarci. Significa semplicemente riconoscere che anche noi siamo statə bambinə. E che abbiamo diritto di guarire, mentre cresciamo con nostrə figliə.
✔ Accetta che non vediamo mai tutto.
“Il fatto che io non capisca qualcosa, non significa che non abbia senso.”
Il nostro sguardo è parziale. Sempre. E non è una mancanza: è una condizione umana. Accettarlo ci libera dal bisogno di avere sempre il controllo, di sapere tutto, di “fare giusto”.
Anche quando sbagliamo — anzi, soprattutto quando sbagliamo — possiamo mostrare a nostrə figliə che crescere significa imparare a guardarsi dentro, cambiare prospettiva, chiedere scusa, riprovare.
Prima di salutarci...
Siamo arrivati alla fine, Caro Genitore, e come avrai capito, non possiamo eliminare i nostri bias. Non possiamo smettere di essere imperfettə.
Ma possiamo imparare a guardare con più presenza, più curiosità, più amore consapevole.
A presto.
Silvia.



